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Tramonto sul Fiume São Francisco, fra le città di Petrolina e Juazeiro
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Sono entrata in contatto con il Progetto BEA ormai tre anni fa,
assistendo all’intervento di Nicola Andrian, il coordinatore, durante una
lezione di pedagogia generale, al mio primo anno di corso all’Università di Padova.
Già dalla presentazione dell’esperienza ne ero rimasta estremamente
affascinata, soprattutto dall’idea (mai sentita prima) di applicare all’interno
del percorso universitario il Service-Learning.
L’innovazione della proposta sta nel concepire il servizio solidario alla comunità e
l’apprendimento non come due attività separate, bensì come un unico percorso
educativo coerente, partendo dal presupposto che la conoscenza non sia solo un
contenuto da trasmettere in forma passiva, come dice chiaramente il pedagogista
e filosofo brasiliano Paulo Freire, bensì da sperimentare in prima persona. Lo
sviluppo di una cittadinanza attiva e pro-sociale è uno degli obiettivi
fondamentali del Service-Learning,
che chiede agli studenti coinvolti di mettere alla prova, in contesti reali
fuori dalle aule, le conoscenze teoriche, abilità e competenze previste dal
loro curriculum accademico, collaborando con il territorio stesso tramite le
interazioni con gli attori in esso coinvolti. Nella logica di collaborazione in
rete tra università e territorio, l’apprendimento accademico non è
semplicemente a vantaggio del singolo studente, ma si fa risorsa per la
comunità ed è, al tempo stesso, ulteriormente potenziato proprio dal contatto
con la comunità.
Applicando il Service-Learning (S.L.)
attraverso un approccio GloCale, prerogativa del Progetto BEA in stretta collaborazione con il programma di ricerca e
pratiche Intereurisland, si propone
una visione che comprenda simultaneamente tanto la dimensione globale, quanto
quella locale. Ciò implica il pensare al contesto territoriale, in quanto
caratterizzato da determinate peculiarità e necessità specifiche, mantenendo
relazioni con l’internazionale. Creare una rete che tenga conto delle singole
realtà, senza isolarle né integrarle in un processo di globalizzazione, bensì
esprimerle e valorizzarle in un dialogo comune.
La proposta del S.L. prevede un’alternanza
continua tra la teorica e la pratica e tra l’università e la comunità. Nello
specifico di questo progetto, la parte teorica si sviluppa con
l’approfondimento (già proiettato nell’ottica di un’applicazione pratica) di
concetti quali la comunicazione assertiva, comunicazione non violenta e
relazione educativa e di aiuto attraverso il corso di estensione (Extensão in brasilaino): “Relazioni
interpersonali e dinamiche di gruppo”, del Dipartimento di Scienze Umane DCH,
Campus III, della città di Juazeiro-BA, dell'Università dello Stato della Bahia
(UNEB). La parte pratica, di servizio solidale, invece, si sviluppa attraverso
un tirocinio formativo in uno degli enti della rete di collaborazioni che sia
il BEA che Intereurisland hanno nel
contesto locale delle città di Juazeiro-BA e Petrolina-PE (che fisicamente
costituiscono per diversi aspetti un unico agglomerato urbano, separate solo
dal Fiume San Francisco).
Una tappa importante dell’esperienza di mobilità
vissuta, che rafforza l’acquisizione di conoscenze e competenze anche in merito
al dialogo interculturale, è la fase iniziale di immersione nel contesto locale
e di contatto e scoperta di diverse realtà che operano nell’ambito del disagio
e della vulnerabilità sociale, dei diritti umani e della cittadinanza attiva.
Tale processo di immersione è iniziato già in
Italia, attraverso la formazione pre-partenza che ho condiviso con quattro
studentesse(i), sempre dell’UNIPD, in partenza con il programma Intereurisland.
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Formazione pre-partenza. L'equipe 2021 con la Porf.ssa Barbara Cabral, RMSM - UNIVASF
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In questa fase, immaginando la realtà brasiliana ancora lontanissima all’epoca,
ognuno di noi del gruppo si era fatto un’idea dell’ente in cui avrebbe avuto
interesse a svolgere il tirocinio. Per me la scelta era ricaduta sul
FUNASE-CENIP, la Casa di reclusione di prima accoglienza nella città di
Petrolina, della Fondazione socio-educativa per adolescenti in conflitto con la
legge.Qui gli adolescenti devono scontare un periodo massimo di 45 giorni, in
attesa della sentenza definitiva del giudice. Le possibilità consistono poi,
dipendendo dal processo, o con la scarcerazione o con il passaggio alla
struttura di detenzione vera e propria (il FUNASE-CASE).
Considerando tale scelta, gli obiettivi formativi
che mi ero preposta, e che facevano parte del progetto di tirocinio formativo presentato
alla UNIPD, erano:
- Osservare l’ambiente carcerario minorile - sia
per quanto riguarda i detenuti, sia per l’organizzazione della struttura (es.
personale, fondi)
- Capire come cambia il concetto di educazione e
relazione in base alla cultura
- Scoprire come cambia il concetto di devianza in
base alla cultura
- Osservare e prendere parte alla quotidianità
dell’ente accogliente
- Osservare ed apprendere a gestire le
problematiche che ci possono essere al momento dell’arresto (quali senso di
colpa, rabbia, astinenza in caso di dipendenza da sostanze)
- Apprendere l’insieme di metodologie utili per la
valutazione dell'ambiente carcerario
- Valutare la possibilità di opzioni alternative al
sistema penitenziario come risposta a reati commessi da minori
- Entrare in un clima di condivisione di esperienze
e contatto con l’Altro
- Saper lavorare in equipe
- Saper gestire situazioni stressanti
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Implementare i concetti teorici approfonditi
durante il percorso accademico all’Università di Padova
Una volta arrivati in Brasile però, a causa della
situazione d’emergenza data dalla pandemia, gli enti non sono stati da subito
in grado di accogliere tirocinanti. Come equipe Bea&Intereurisland 2021, si è comunque realizzato il giro di
visite ad ogni ente della rete - sia carceraria che dei CAPS (Centri Attenzione
Psicosociale).
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Equipe in visita al FUNASE Cenip, Petrolina-PE
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Iniziando a scoprire le dinamiche della realtà dei CAPS, è emerso un forte
legame e interesse degli operatori nei confronti dell'orientamento basagliano
nella questione psichiatrica: qui, infatti, si cerca di assistere la persona a
livello multisistemico, con differenti figure professionali e dando importanza
alla persona nella sua complessità e non solamente nella limitante (secondo la
prospettiva antimanicomiale) visione sano/malato. Nello specifico, dal 1988 in
Brasile esiste il Sistema Único de Saúde (SUS), pubblico e aperto a tutti.
Inoltre, a seguito della Riforma Psichiatrica e del movimento di Lotta
Antimanicomiale - fortemente ispirati dalla psichiatria italiana a stampo
basagliano - nasce la Rede de Atenção Psicossocial (RAPS), responsabile del
sostegno a persone che manifestano sofferenza psichica e/o disturbi
psichiatrici e di abuso di sostanze. La rete è composta da molteplici servizi,
tra cui i Centri di Attenzione Psicosociale (CAPS), l’assistenza sanitaria di
base, le unità di emergenza ed urgenza, i servizi di residenza terapeutica e
manicomi. I CAPS si propongono come alternative sostitutive agli ospedali
psichiatrici, in quanto servizi presenti nel territorio, a porte aperte e che
operano in équipe multiprofessionali con una logica interdisciplinare. Essi
sono divisi in: CAPSi Infanto-juvenil, dedicato al sostegno a minori; CAPS II,
che accoglie adulti con disturbi psichiatrici gravi e persistenti; CAPS AD
(Alcol e Droga), specializzato nell’area dell’uso abusivo di alcol e droghe.
C’è poi un'ulteriore differenziazione (che determina gli incentivi governativi)
in base al numero di abitanti del distretto in cui il CAPS opera.
Estremamente affascinata da una possibile
esperienza nel CAPS AD III di Petrolina, ho optato alla fine per svolgere il
tirocinio formativo sia all’interno del CENIP, che del CAPS.
Le due sono risultate essere per me opportunità
di apprendimento molto diverse, seppur complementari. All'interno della FUNASE,
infatti, ero di accompagnamento alla psicologa, avendo così l’occasione di
approfondire tale ruolo specifico. Nel CAPS al contrario seguivo ogni figura
professionale dell’equipe (assistente sociale, psichiatra, psicologa,
coordinatore, infermiera, OSS, farmacista e riduttore di danno), approfondendo
così il funzionamento del servizio a 360 gradi.
Già da qui si può capire che l’adattamento è
stato una delle capacità e sfide che mi sono state richieste: non lasciarsi
scoraggiare dal mutamento di una situazione, bensì trovare il modo di trarne
punti di forza. Così, dall’idea di focalizzare la mia attenzione sugli
adolescenti, mi sono trovata a svolgere la gran parte del mio tirocinio
all’interno del CAPS. Fin da subito mi ha colpita la percezione che avevo di
quanto i professionisti che vi lavoravano fossero frustrati, sensazione che man
mano si rendeva sempre più pervasiva e ingombrante. Sentimento che, a livello
personale, provavo pure io nella quotidianità del lavoro stesso.
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Attività laboratoriale al CAPS AD di Petrolina-PE
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La scelta dell’argomento di tesi è ricaduta, allora,
sul cercare di riflettere su quanto fosse reale tale percezione, partendo dai
resoconti dell’equipe stessa. Come strumento di ricerca mi sono avvalsa
dell’intervista dialogica: uno strumento qualitativo di raccolta dati per
ricerche in ambito sociologico. Si tratta di un'interazione nella quale
l'intervistatore si pone in condizione di ascolto, lasciando lo spazio di
protagonista esclusivamente all’intervistata(o) che a quel punto diventa
narr-attore ossia soggetto più che oggetto di ‘stato’. L'intento primario è
quello di raccogliere rappresentazioni di esperienze e di relazioni, arrivando
così a scoprire come le opinioni e le informazioni riferite ai valori, norme,
condizioni, episodi agiscono concretamente nella vita dei soggetti e prendono
forma nelle loro azioni. A tal fine si tratta di uno strumento estremamente
flessibile, che si adatta alla situazione contestuale dell’intervista e al
racconto dell’intervistato stesso. Nel caso specifico di questa esperienza,
questo strumento è stato utilizzato nella prospettiva di ascoltare la
rappresentazione del contesto in cui la realtà del CAPS prende vita.
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Discutendo la Tesi di Laurea dal Brasile
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Facendo le interviste mi sono trovata ad essere
bombardata di informazioni, di storie, emozioni. Per molti sentivo che ci fosse
la necessità di avere uno spazio in cui sfogarsi e, soprattutto, di persone
disposte ad ascoltare ciò che di solito viene ignorato: il benessere inteso
come psicofisico e sociale. In un Paese in cui ancora esistono i manicomi, il
non riconoscimento dell’importanza della salute psichica sembra essere una
costante.
Mi trovo quindi ad immergermi nella scoperta del
SUS e, con sorpresa, a rendermi conto di non sapere praticamente nulla riguardo
a come funzioni la salute pubblica in Italia, tantomeno quella mentale. Sento
di nuovo una passione per la psicologia, più che altro la voglia di capire ed
approfondire i concetti stessi di benessere, comunità, territorio. Scopro anche
di avere un approccio alla psicologia che non vuole essere chiuso dentro ad uno
studio terapeutico, snaturato rispetto all’ambiente quotidiano della persona;
il prendersi cura è fuori, nelle strade, nelle case, nelle relazioni e non
solamente all'interno del servizio.
Penso di aver avuto
il privilegio di oscillare tra l’essere comunque una figura di riferimento ed,
in quanto una tirocinante e non professionale, una presenza molto più vicina,
quasi amica per le persone con cui entravo in contatto. Ciò vale sia per il
CAPS che per il CENIP.
Cercando quindi di
trovare un mio ruolo all’interno delle due equipe, come obiettivo mi sono posta
quello di creare un ambiente naturale di espressione, sia mia che altrui. Il
mio che dovrebbe essere un lavoro basato sulla parola, si è trasformato ed
unito ad un susseguirsi di attività estremamente pratiche: che fosse il giocare a
calcio, il farmi insegnare a suonare la chitarra o allenare le verticali nel
cortile. In particolare sono felice di aver portato la Capoeira Angola
all’interno della FUNASE e in qualche momento anche al CAPS. La Capoeira, un'arte che ho
imparato ad amare e rispettare e che sicuramente meriterebbe uno spazio
maggiore, ma non penso sia il focus che voglio dare in questa sede.
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Capoeira al CAPS
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Volevo creare uno spazio alternativo a quello della
solitudine della cella e alla pesantezza dei pensieri e, più in generale,
ristabilire insomma una sorta di naturalità nel rapporto, di eliminare la
categorizzazione medico-paziente o carceriere-detenuto.
Ciononostante, mentre nel primo periodo pensavo,
una volta tornata a casa, di cercare subito un modo per continuare un percorso
specializzante qui, credo di aver bisogno di riflettere ed elaborare quello che
è successo in questi cinque mesi.
Mesi che sembrano volati, quasi mai esistiti,
come la sensazione di realtà di un sogno che svanisce man mano che ci si
sveglia. Sento che qualcosa però è cambiato, un’energia in qualche modo diversa
che si sta facendo arrogantemente strada anche nella normalità italiana (che
ormai non esiste più nella stessa forma in cui esisteva prima). Ciò lo collego
molto alla Bahia come terra che ho all’inizio osservato curiosa e che ho
iniziato a vivere poi, facendomi travolgere dalla sua storia, cultura e
contraddizione. Posso affermare che, oltre ad aver appreso molto dal tirocinio
formativo dal punto di vista professionale, la mia crescita durante questo
periodo è stata soprattutto personale (o per lo meno tale aspetto, a mio
parere, risulta essere il più rilevante). Si trasformano così l’esperienza sul
campo e lo studio teorico in competenza. Se dovessi immaginare il mio percorso
qui, sicuramente non sarebbe una linea retta, bensì un continuo generarsi di
nuove emozioni e vissuti. Tutto partito da una lezione a Padova, a cui
sinceramente ho deciso all’ultimo di partecipare.
In tale processo di cambiamento il gruppo è stato
per me fondamentale. Siamo di fatto partiti in cinque studentesse(i) UNIPD per questa avventura,
costituendo assieme al coordinatore l'equipe Bea&Intereurisland 2021, ognuno con la propria personalità e modi di osservare e riflettere sul mondo
totalmente diversi e, molte volte, in opposizione. Ammetto non essere stato
facile inizialmente: cinque estranei trovatisi di punto in bianco a dover
condividere una casa, un progetto di tirocinio e una nuova vita in un luogo
totalmente estraneo. Ricordo un articolo che abbiamo scritto assieme per il
WECSAB (X workshop nazionale e internazionale di educazione contestualizzata
per la convivenza con il semiarido) che io ho personalmente vissuto come
mentalmente sfiancante; lì, a mio parere, è stato l’emblema di fatto di quanto
fosse difficile trovare un modo per sintonizzare le varie idee e stili (in
questo caso di scrittura), valorizzando senza cadere nella trappola omologante
e al tempo stesso non rinunciando ad una coerenza generale.
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Focus Group di valutazione e pianificazione - equipe 2021
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E’ Difficile spiegare il livello quasi di
simbiosi che abbiamo raggiunto - sia per quanto riguarda il tempo passato
assieme, sia per l’intensità dei vissuti reciproci a cui siamo stati partecipi.
La routine, nel momento in cui abbiamo iniziato percorsi più autonomi, stava
nell’andare a tirocinio o fare qualsiasi altra attività e, tornati a casa, ritrovarci
e parlarne. Penso di non aver mai raccontato a nessuno la mia quotidianità nei
più minimi dettagli come ad Alessio, Caterina, Lucrezia ed Arianna in quei tre
mesi. Pur non avendo potere sulla scelta dei miei compagni, essi da sconosciuti
si sono trasformati in colleghi, “terapeuti” ed infine amici. Ora rientrata in
Italia mi manca profondamente la sensazione di essere capita totalmente quando
racconto di ciò che ho (e abbiamo) vissuto, senza dover necessariamente provare
a spiegare un contesto che per essere inteso va sperimentato.
Molte delle mie considerazioni probabilmente non
sarebbero mai state possibili senza loro e, per questo e molto altro, li
ringrazio.
Torno a casa più consapevole di quanto sia
importante saper improvvisare (non inteso però come mancanza di giudizio), di quanto
sia bello concedersi il lusso di ascoltarsi e orientare le proprie scelte anche
in base alla propria percezione in quel momento, a non avere piani rigidi e
immutabili a cui ci si deve necessariamente adattare. Ciò unito però alla
fermezza con cui si può prendere una decisione. Mi torna alla mente una frase
che un mio amico mi diceva spesso, quando mi vedeva in dubbio sul da farsi:
“Piedi per terra Valentina (Pé no Chão).
Vuoi una cosa? Va e falla. Mettiti in gioco”. Da qui, ad una maggiore libertà,
svincolata da schemi preimpostati e talvolta forzati, emerge anche la presa di
coscienza della propria responsabilità personale rispetto alle possibilità che
capitano e che si possono costruire autonomamente se ancora non presenti (certo
non generalizzando ad ogni situazione e contesto).
Presupponendo ciò, sento di aver appena aperto
una porta su un percorso che voglio percorrere e che passa attraverso la Bahia.
Affermo quindi che tornerò in questa terra magica, misteriosa e affascinante,
che ora amo.
Valentina Gigliello
Laurea Triennale in Scienze psicologiche dello
sviluppo, della personalità e delle relazioni interpersonali, Università di
Padova.