“Io ho bisogno di una rivoluzione copernicana nella mia vita”
(J.T.T.)
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Un momento del laboratorio di Calcio a 5 alla FUNASE CASE di Petrolina-PE. |
Tutto ha avuto inizio nel marzo 2017; ricordo ancora la voglia che avevo di iniziare questa esperienza che sapevo mi avrebbe dato moltissimo. In particolare ricordo la prima video chiamata che ho fatto con il responsabile del Progetto BEA, Nicola Andrian, che in quel periodo si trovava in Brasile. Era così forte il desiderio di partire che ho segnato in agenda questa 'possibile esperienza' come un obiettivo da realizzare (per il successivo anno accademico), anche per paura di non riuscire a trovare il coraggio e la forza di affrontare tutto quello che era necessario affrontare per vivere, di fatto, questi tre mesi e mezzo di mobilità.
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Un incontro di orientamento e formazione pre partenza al CUR Rovigo, Italia,
con la partecipazione delle studentesse brasiliane del DCH III UNEB, in mobilità. |
Piano piano durante il secondo anno di università questo mio desiderio ha preso vita attraverso la partecipazione a diversi incontri di orientamento e formazione pre-partenza sia all’università a Rovigo che nella sede dell’En.A.R.S., l’associazione di promozione sociale di Padova che promuove il Progetto BEA.
Alla fine ce l’ho fatta e ... il pomeriggio del 2 aprile 2018 sono partito per il Brasile.
Sono salito sull’aereo che mi portava in scalo a Lisbona, dove siamo rimasti per 18 ore. Il giorno seguente ho preso il primo volo intercontinentale della mia vita, che mi avrebbe portato a Recife, la capitale dello Stato del Pernambuco, nella regione nord-est. Infine ho preso un volo interno che mi ha portato a destinazione, nella città di Petrolina, sempre in Pernambuco, per un totale di circa 30 ore di viaggio.
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Il Fiume São Francisco e vista della Orla di Petrolina-PE |
Sono arrivato la notte del 04 aprile, stremato, e quella prima notte sono stato ospite, assieme alle mie colleghe e compagne di viaggio Beatrice A., Sara F. e Ludovica F., a casa di Allicia C., una delle due studentesse brasiliane che qualche mese prima avevano concluso il loro scambio in Italia attraverso la ricerca INTEREURISLAND.
Quella stessa notte non ho realizzato di essere a circa 8600 km da casa, di essere in Brasile; si, proprio io, che un anno prima stavo solo sperando di arrivare, solo immaginando di partecipare a questo progetto. A partire da quella notte tutto sarebbe diventato realtà. Fra le diverse attività previste dal progetto, oltre a quelle specifiche di tirocinio formativo, avrei frequentato il corso di “Dinamiche di gruppo e relazioni interpersonali” al Dipartimento di Scienze Umane III, dell’Università dello Stato della Bahia - UNEB e sarei stato facilitatore al corso di lingua e cultura italiane all’Università Federale UNIVASF.
Una delle prime sensazioni forti che ho provato qui in Brasile è stata quella di essere ‘lo straniero’, di sentirmi gli occhi puntati addosso con la sensazione che chi mi incontrasse capisse subito che non ero brasiliano. Ironicamente pensavo: “tu europeo sei l’ ‘Altro’, com’è possibile? L’Europa non è al centro del Mondo?
Sentirsi l’ ‘Altro’, lo straniero, mi ha fatto rendere conto di quanto il punto di vista possa mudare la realtà; provare per credere, finché non la vivi, non puoi capire.
Dal giorno di arrivo sono passate 2 settimane all’incirca prima che potessi iniziare il tirocinio vero e proprio e, finalmente, il 19 aprile ho presentato i miei obiettivi formativi al coordinatore pedagogico dell'ente che mi ha ospitato in questi mesi: il ‘FUNASE Case’, un centro di reclusione di una fondazione socio-educativa dello Stato del Pernambuco, che opera con adolescenti in condizioni di conflitto con la legge attraverso percorsi di scolarizzazione e rieducazione.
La presentazione dei miei obiettivi formativi e una riflessione assieme, anche sulla base dei bisogni e delle necessità dell'ente in merito all'ambito educativo / ri-educativo, è uno dei momenti più delicati e significativi del ciclo del Service Learning che ho seguito per lo sviluppo delle diverse attività di tirocinio attraverso il Progetto BEA.
I MIEI OBIETTIVI AUTO-FORMATIVI
Nello stendere il progetto di tirocinio, presentato prima della partenza all'ufficio Stage dell'Università di Padova, ho deciso di dividere i miei obiettivi auto-formativi in tre aree (sapere, saper essere e saper fare) in modo tale da poterli sviluppare nel miglior modo possibile e poter sviluppare riflessioni specifiche sia su conoscenze, che tecniche e abilità acquisite durante questi tre mesi di tirocinio.
SAPERE:
- Conoscere una nuova lingua e una nuova cultura;
- Acquisire conoscimento teorico e pratico sul metodo del “Service Learning'
SAPER ESSERE:
- Tentare di intendere la complessità delle relazioni che svilupperò con gli adolescenti accolti nella “FUNASE Case” e farle crescere nel miglior modo possibile;
- Riconoscere i limiti presenti nel contesto e nella mia persona per permettere una migliore apertura mentale e un approccio empatico rispetto alle differenti situazioni;
- Migliorare le mie capacità di ascolto in ambito educativo per agevolare una migliore relazione educativa con gli adolescenti che incontrerò.
SAPER FARE:
- Aumentare, sviluppare, acquisire nuove abilità e strategie educative e implementarle attraverso il mio tirocinio all’interno della “FUNASE Case”;
- Apprendere a lavorare con l’equipe tecnica presente dentro l’istituzione in modo tale da acquisire e aumentare abilità e competenze trasversali utili per il mio tirocinio e la mia probabile proposta di progetto personale.
“FUNASE Case” DOVE SONO?
Finalmente inizio…
Ricordo benissimo che la prima volta che sono entrato alla ‘FUNASE Case’ ho provato ansia 'a mille' e continuavo a ripetermi 'paranoie mentali' del tipo “riuscirò mai a proporre un’attività? Riuscirò a creare relazioni? Sarò accettato da tutti? Io non ho mai fatto l’educatore, come mi devo approcciare? Devo comportarmi in modo naturale? Devo trattenermi? Che ci faccio qui? E con il portoghese come farò? I ragazzi mi capiranno quando parlerò? Mi prenderanno in giro per come parlo? E l’equipe tecnica? Mi capirà? Mi accetterà?”.
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Equipe Progetto BEA e INTEREURISLAND 2018
assieme ai coordinatori pedagogici del FUNASE CASE |
Nonostante questa sorta di 'delirio mentale' ho iniziato il mio tirocinio attraverso una prima fase di osservazione (osservazione partecipante) e conoscenza reciproca. Fra le diverse attività ho accompagnato il coordinatore pedagogico dell’ente nei colloqui settimanali con gli adolescenti accolti, ho partecipato sia alle lezioni nella scuola all’interno della struttura, affiancando i professori di diverse materie, che al corso pomeridiano di informatica e al laboratorio di musica.
Piano piano ho iniziato a conoscere gli adolescenti anche se, in realtà, fin da subito, con la maggior parte di loro il dialogo si è creato spontaneamente; erano loro che mi cercavano, e, non dovendo attuare grandi strategie per avvicinarmi, ho deciso di essere piuttosto spontaneo, naturale, alle volte anche troppo, dico la verità.
Molte volte ho rischiato di atteggiarmi e sentirmi un po’ troppo amico e confidente degli stessi adolescenti che mi circondavano. All’inizio, infatti, vedevo tutto molto inconsciamente, non mi rendevo veramente conto delle storie di vita che stavo incontrando e mi sembravano ‘normali’ adolescenti, certamente molto agitati. Chi si sarebbe mai aspettato, infatti, un inizio così carico di sguardi sorridenti e 'partitelle' a calcetto durante i momenti di intervallo fra le diverse lezioni o attività? io di certo no.
In questa prima fase sono riuscito a proporre una lezione di cultura Italiana, parlando in portoghese e con loro che mi ascoltavano, che mi domandavano chiarimenti, che si incuriosivano.
Tutte le 'paranoie iniziali' sembravano svanite, ogni mattina partivo fra le 7:30 e le 8:00 e raggiungevo, in bicicletta, la ‘FUNASE Case’, pronto ad affrontare ogni giornata con il sorriso, la carica giusta, la voglia di scoprire, di conoscere nuovi ragazzi, di parlare con loro, di creare relazioni forti e segnanti.
IL LABORATORIO DI CALCIO A 5
Tra sconforto e soddisfazione
Verso la metà di giugno, a seguito della prima fase di osservazione partecipante, ho presentato il ‘laboratorio di calcio a 5’, pensato e proposto con l’interesse di sviluppare i miei obiettivi formativi e di seguire le richieste specifiche che l’ente mi aveva fatto.
Dei circa quaranta adolescenti accolti in quel periodo, hanno aderito in trentuno. Felicità alle stelle perché sapevo di suscitare l’interesse di molti, ma non pensavo di così tanti.
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La presentazione del 'Laboratorio'
assieme al coordinatore pedagogico Ilson Borges |
Ricordo con lucidità il momento in cui ho presentato la mia attività di fronte a trentun ragazzi che mi ascoltavano. Ero molto agitato e mi ero preparato un piccolo discorso. Ricordo gli sguardi degli adolescenti, alcuni a bocca aperta, con le gambe che si muovevano, quasi pronti a partire subito con l’attività in campo. Ho chiarito loro che si sarebbe trattato di un vero e proprio allenamento e non solo di partite come eravamo soliti fare durante gli intervalli. Mi sembravano tutti estremamente convinti e pronti a iniziare.
Con la prospettiva di sviluppare la Tesi di laurea sull’esperienza di tirocinio, nei giorni seguenti li ho intervistati uno ad uno ponendo loro delle semplici domande che mi permettessero di raccogliere informazioni sulle loro esperienze calcistiche e, quindi, sul loro rapporto con questa specifica attività sportiva e sulle loro idee rispetto alle regole (in particolare al rispetto delle regole), al gruppo e al rispetto degli altri partecipanti. Concetti che ho ritenuto importanti in merito alla ‘relazione educativa’ anche in rapporto a ciò che stavamo affrontando dal punto di vista teorico all’università.
Qualche giorno dopo abbiamo iniziato le attività in campo e, per riassumere ciò che ho provato, la parola più adatta può sicuramente essere: disperazione. I concetti di allenamento e di sforzo per raggiungere un obiettivo mi sembravano totalmente estranei al loro modo di pensare e di agire.
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Un momento del laboratorio di Calcio a 5 alla FUNASE CASE di Petrolina-PE. |
Sentivo di aver bisogno di altri 4 mesi, almeno, per riuscire ad ottenere qualche risultato ma mi sono accordo che, forse, stavo pretendendo troppo. In itinere, quindi, ho deciso di proporre un momento di riflessione con gli adolescenti per ridimensionare la proposta e trovare assieme un compromesso. Ho negoziato con loro rendendoli partecipi il più possibile e creando delle alleanze all’interno dei gruppi. Finalmente ha iniziato a funzionare e in particolare potevo vedere l’interesse da parte di molti di loro.
Lo sconforto iniziale, che mi aveva portato a chiedermi seriamente se volessi proseguire in questa direzione e con questo laboratorio, era stato superato e ho concluso le attività pensando che mi sarebbe piaciuto rimanere li un altro anno intero per continuare la mia ricerca sul campo e vedere effettivamente con quanti ragazzi sarei riuscito a continuare il percorso.
Alcuni di loro, infatti, avevano abbandonato il laboratorio e qualcuno, successivamente, era arrivato a chiedermi con insistenza di poter riprendere.
Uno degli aspetti che ho cercato di osservare e analizzare attraverso il laboratorio è stato il rispetto delle regole, non solo del gioco in sé ma in particolare delle regole che io avevo stabilito per le attività pratiche, in modo tale da ottenere una migliore efficacia ed efficienza, e di quelle relative al piano relazionale, in merito al gruppo e al concetto di squadra.
Alla fine posso dire che la persona che ha imparato di più da questo laboratorio sono stato proprio io; questi incredibili ragazzi mi hanno insegnato a lavorare con metodo, mi hanno insegnato l’arte della mediazione e della negoziazione degli obiettivi, mi hanno insegnato a crearmi alleanze che mi potessero aiutare, mi hanno insegnato ad ascoltare e a dire di no, a porre e mantenere limiti anche con chi avevo stretto i migliori rapporti fuori dal campo.
Li, infatti, dentro al campo da gioco, le regole erano uguali per tutti con nessuna eccezione e, credetemi, non è stato per niente facile considerando le forti relazioni che avevo instaurato con molti di loro. Tutto questo mi ha portato a riflettere in modo particolare sul concetto teorico e pratico del ‘limite’ nella relazione educativa.
DEVI SAPERTENE ANDARE, “DESPEDIDA”
Arriva il momento di andartene…
Come momento di chiusura delle attività svolte durante questi mesi, assieme all’equipe del FUNASE Case ho organizzato un pomeriggio di pizza e musica dal vivo con gli adolescenti e gli operatori. Il luogo scelto é stato il cortile interno alle celle dove c'era anche lo spazio e i tavoli per mangiare. Non tutti si sono alzati per la preparazione della pizza, alcuni sono rimasti ai piedi delle celle a guardare, altri a lato del corridoio di sinistra, sempre molto vicini alle celle e seduti sulle sedie, con le braccia incrociate e le labbra volte verso il basso, con gli sguardi che andavano e tornavano.
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Un momento della 'Despedida' |
Fra tutti loro, una ventina mi seguiva a ruota. Mentre sudavo, fra una pizza e l’altra, sentivo mille voci, sentivo il mondo girare, mi sentivo toccare, urlare nelle orecchie, vedevo sguardi pieni, occhi spalancati e sorrisi che non posso dimenticare. Ero soddisfatto, fiero di me e di loro e allo stesso tempo triste perché me ne stavo andando. Mi sentivo 'vita', felice e spensierato. Una felicità che non si prova molto spesso. Penso, infatti, che ci siano poche occasioni nella vita di sentirsi estremamente tristi ed estremamente felici nello stesso preciso istante e quel momento, per me, è uno di quelli che adesso è segnato nella mia storia personale.
La sensazione di storie di vite che si sono incrociate e che, molto probabilmente, non si incroceranno più. Ho la chiara percezione che ciò che porto con me è molto di più di un semplice tirocinio; è relazione, è felicità e tristezza, sconforto e soddisfazione, dolore e gioia, inizio e fine.
Sentirsi alzati in aria da venti dei ragazzi che hai conosciuto in tre mesi è soddisfacente, lo è incredibilmente, vedere i loro occhi luccicare come i miei, vedere che il tuo lavoro non è stato vano, sperare di aver lasciato qualcosa di grande, sperare di essere stato un esempio positivo, sperare di essere non solo stagista ma anche amico e confidente. In ogni caso sentire che il percorso è stato veramente formativo, sia dal punto di vista professionale che umano.
Tutto questo, in realtà, per me è stata “rivoluzione”. Sono partito e non sapevo a cosa andavo incontro, non sapevo cosa stavo cercando, forse me stesso, forse un posto nel mondo. Ora, alla fine, ho trovato risposte?
Ancora non lo so. Non penso esistano risposte definitive a queste domande e dal canto mio ho imparato a sentirmi consapevole del mio potenziale, ad essere umano in ambito professionale, ho imparato ad ascoltarmi ed ascoltare, ho imparato a non dare nulla per scontato, a credere in quello che in cui sogno. Fra il provare ad avvicinarsi e il non farlo affatto c’è una bella differenza. Io ci provo.
“Tutte le idee che hanno enormi conseguenze
sono sempre idee semplici” (Lev Tolstoj)
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Equipe 2018 alla Chapada Diamantina |
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio le mie “tres mulheres”, le mie tre compagne di viaggio, Beatrice, mia coinquilina e consulente personale per questi tre mesi e mezzo, è stata dura ma ce l’abbiamo fatta.
Sara e Ludovica, colleghe 'bahiane', mediatrici infallibili e portatrici di aria Zen.
Ringrazio il Progetto Bea, l’Enars Padova, ente promotore di tale progetto, il mio ente di tirocinio “FUNASE CASE” e il coordinatore Nicola Andrian che ha permetto che tutto questo si realizzasse.
Ovviamente i ringraziamenti non sono mai abbastanza quindi ringrazio anche le università brasiliane, UNEB e UNIVASF e tutte le persone che ho incontrato, che hanno potuto farmi crescere e vivere questa esperienza formativa nel migliore dei modi.
“Até a próxima”!
Giacomo Longo
Corso di Studio in Scienze dell'Educazione e della Formazione FISPPA, UNIPD, sede di Rovigo.