“Finché ti sento
nell’anima non c’é pericolo”
Questa è la frase
con la quale voglio iniziare a parlare di questi miei quattro intensi mesi di
Vita. Questa è una delle ultime frasi con cui ho salutato i miei ragazzi.
Questa è la frase con la quale insieme ci siamo emozionati. Questa è la frase
che mi sta dando l’energia in questi giorni.
Ho iniziato questo
viaggio con tanti dubbi e insicurezze, ancora mi ricordo una conversazione che
ho avuto con una delle mie più care amiche prima di partire… lei era incredula
nel vedermi così incerta e ogni giorno mi diceva “ma ti rendi conto che tra pochi
giorni parti per il Brasile e qui sembra che tra le due la più contenta sia io?
Miriam, sarà un’esperienza pazzesca, vedrai che non vorrai più tornare a
casa!”. Ora che sono appena rientrata in Italia posso dire con certezza che lei
aveva ragione: è stata un’esperienza incredibilmente indimenticabile.
Fatico a trovare
delle parole, nella mia mente ne stanno passando tantissime in questo momento,
ma neanche una sembra quella giusta, nessuna sembra dare un giusto nome a
emozioni, volti, colori, musica, amore, difficoltà, lacrime, mani, sorrisi,
sguardi, pianti…
Ho svolto il mio tirocinio con il
progetto BEA nell´ente FUNASE CASE di Petrolina (PE), casa di detenzione per
minori in conflitto con la legge che accoglie circa 40 adolescenti maschi di età
compresa tra i 14 e i 20 anni.
Per provare a raccontare un po´ di
questa mia esperienza voglio cominciare con gli obiettivi auto formativi che mi
ero posta prima di partire, obiettivi che sono stati presenti ogni giorno e
ogni settimana di questa esperienza e sui quali abbiamo lavorato ad ognuna
delle riunioni d’equipe fatte con il mio coordinatore Nicola Andrian e con la
mia compagna di avventura, Veronica. Avevo deciso di dividere i miei obiettivi
in tre macro aree: quella del sapere, quella del saper fare e quella del saper
essere.
SAPERE:
•
Acquisire informazioni più dettagliate sull’ente in cui andrò a
svolgere il tirocinio, il modus operandi, l’organizzazione interna e la
mission;
•
Capire come funziona la legislazione minorile all’interno dello stato
del Pernambuco;
•
Conoscere e approfondire una lingua, una cultura, una storia locale e
delle tradizioni diverse dalla mia.
SAPER FARE:
•
Acquisire e sviluppare nuove capacità, competenze e/o strategie
educative da poter attuare nei confronti delle persone che vivono nell’ente in
cui andrò a lavorare;
•
Affiancare l’equipe socio-psico-pedagogia presente all’interno della
strutture e imparare a lavorare con le diverse figure professionali che la
compongono;
•
Proporre e cercare di mettere in atto un mio personale progetto
educativo, indagandone i risultati con un costante monitoraggio e una
valutazione accurata con l’obiettivo di poter incrementare attraverso questa
opportunità le mie capacità e le mie competenze;
•
Imparare a capire le particolari esigenze dei ragazzi con i quali
lavorerò, cercando di comprendere come relazionarmi con loro;
•
Cercare di stimolare, attraverso le varie attività proposte, la
libertà di espressione e il dialogo.
SAPER ESSERE:
•
Cercare di rimanere me stessa in ogni momento, prendendo coscienza dei
miei limiti e delle mie potenzialità;
•
Affrontare ogni situazione con una costante voglia di mettermi in
gioco come persona e come futura educatrice;
•
Rimanere sempre con le orecchie tese e gli occhi aperti per mantenere
ed ampliare un atteggiamento di apertura e curiosità di fronte ad ogni
situazione che mi si porrà davanti.
Ora, rileggendoli,
sto provando a capire quali ho raggiunto, quali no e quali ho sentito più miei,
ed é proprio da questi ultimi che voglio partire!
SAPERE: una delle
parti per me più belle e importanti di questi mesi è stata sicuramente
l´immersione totale in una nuova cultura, in una nuova lingua... in nuovi modi
di fare, di mangiare, di capire, di vedere. E in tutto questo la cosa più
facile, naturale e bella é stata il riuscire da subito a chiamare questo luogo
Casa. Certo, non sono ancora riuscita a perdere la mia faccia da
"gringa" (straniera) che la gente continuava a notare, ancora prima
che per l´accento poco autoctono, per il mio modo di vestire e di sistemare i
capelli, ma le stesse persone che notavano queste differenze, mi hanno fatto
sentire in ogni secondo parte della loro vita.
SAPER FARE: Tra le
tante cose fatte, vorrei raccontare del laboratorio che ho proposto all´equipe e
ai ragazzi del FUNASE. Ero partita con l’idea, anzi, il sogno forse un po’
utopico, di provare a scrivere insieme ai ragazzi un piccolo libro in cui loro
potessero sentirsi liberi di raccontare quello che volevano. Il sogno si è realizzato,
ora torno a casa con questo splendido regalo e con un ricordo bellissimo dei
momenti intensi in cui ci siamo seduti intorno ad un tavolo e abbiamo costruito
tassello dopo tassello questa NOSTRA storia.
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Momenti del laboratorio alla FUNASE CASE, Petrolina |
Il laboratorio è stato strutturato
in diversi momenti: sono partita raccontando a loro la mia storia, per cercare
di creare un ambiente in cui si sentissero liberi di essere e di parlare, per
poi passare a dei momenti più tecnici in cui abbiamo imparato come si
costruisce una storia, quali sono le tappe necessarie, le tipologie di
personaggi... e infine siamo arrivati al vero e proprio fulcro, alla
costruzione del nostro libro, della storia, dei personaggi, delle immagini. Non
trovo le parole per descrivere l’intensità di questi momenti, la loro iniziale
paura nel cominciare e la loro complicità e protagonismo poi. Quello che ne è
uscito è un libro dal titolo "O recomeço de uma vida perdida"
("Il re inizio di una vita persa") che, indirettamente, parla di
loro, delle loro vite difficili, della voglia di avere una seconda possibilità,
di cambiare vita e di come questo sia più facile quando abbiamo qualcuno al
nostro fianco che non smette mai di credere in noi, qualcuno che riesca a
vederci, prima di tutto, come Persone.
SAPER ESSERE:
cercare di rimanere sempre me stessa in ogni momento, questo avevo scritto,
forse incoscientemente. Fin da subito mi è stato chiesto cosa volesse dire. È
stata una provocazione che mi sono portata dentro ogni giorno e adesso, alla
fine di questo mio percorso, grazie ai miei ragazzi, ho capito chi è questa
"me stessa" che volevo essere. Uno di loro un giorno ha chiesto a
Veronica "ma qualche volta lei riesce a stare seria? perché qui con noi è
impossibile, qui è sempre in movimento, è sempre vivace, felice, sempre con il
sorriso e piena di vita!". Ecco, questa è la me stessa che volevo essere,
la me stessa che forse avevo perso prima di partire e che sono riuscita a
ritrovare proprio grazie a loro.
Non sempre è stato
tutto facile e idilliaco, tante volte, soprattutto all´inizio, sono tornata a
casa da lavoro stanca, con la voglia solo di non ritornare, arrabbiata con me
stessa perché secondo me non stava andando come volevo. Ma se c’è una cosa che
ho imparato qui è la pazienza, il saper aspettare... e l’apprezzare la gioia
del momento in cui, dopo aver aspettato, le soddisfazioni arrivano. Ho imparato
ad andare oltre le apparenze, ad ascoltare, ho imparato come molte volte il
prendersi per mano e stringersi forte valga più di mille parole, ho imparato
l´immensa importanza delle emozioni, del viverle a pieno, del commuoversi, del
piangere, anche disperatamente, senza vergogna... e allo stesso tempo il valore
della speranza, dei sogni, dell´essere felice. Ho imparato che l’amore ha tante
forme e una di queste l’ho sentita in ogni momento passato con loro, con loro
che della vita hanno conosciuto il male, un male del quale io non immaginavo
neanche l’esistenza. Un male fatto di droga, di morte, di famiglie distrutte,
di paura di morire, di lotta per la sopravvivenza.
Fino ad ora ho
parlato solo della mia esperienza in carcere, forse perché fresca di
conclusione e di emozioni, ma parte integrante di questi quattro mesi qui sono
state tante altre cose: ho avuto la possibilità di essere la professoressa
Miriam De Martin, accompagnando Nicola Andrian in un corso base di lingua e
cultura italiane all’università Federale, la UNIVASF. Momenti bellissimi ai
quali arrivavo sfinita dopo un giorno di lavoro, ma dai quali uscivo piena di
energia e carica. La cosa più bella è stata, tramite grammatica, giochi, musica
e cibo il riuscire a rendermi conto della bellezza della mia Italia essendo in
un paese così lontano e diverso.
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Una dinamica al corso di lingua e cultura italiane alla UNIVASF |
Inoltre, ogni venerdì,
ho partecipato alle lezioni di "relazioni interpersonali e dinamiche di
gruppo" condotto da Nicola Andrian all´interno del corso di laurea in pedagogia
alla UPE, l’Università del Pernambuco che è un altro ente Partner del Progetto
BEA. Alcuni dei contenuti del corso non mi erano nuovi, ma é stato in ogni caso
molto interessane il poter apprendere e poi mettere direttamente in pratica le
conoscenze acquisite.
Parte integrante e
importante del progetto sono stati i momenti di riunione settimanale con Nicola
e Veronica, nei quali ci siamo confrontati sulla settimana, sui nostri
obiettivi e sul cercare di rielaborare le cose che vivevamo a lavoro.
Ogni venerdì
mattina, infatti, attraverso la compilazione di un questionario abbiamo svolto
un lavoro di riflessione teorica sulla pratica vissuta durante la settimana. Un
lavoro che è parte di una ricerca di dottorato in co-tutela fra l’UNIPD e
l’UNEB (L’Università dello Stato della Bahia) che Nicola sta conducendo e che si
prefigge di studiare in profondità l’esperienza nostra di tirocinio formativo
all’estero attraverso il modello/ciclo del "Service Learning"
(apprendimento in servizio). Il tutto sicuramente è stato stancante e molte
volte la voglia di sedersi e lavorare al computer è stata difficile da trovare,
ma quando, ormai un anno fa, avevo deciso di scegliere questa esperienza come
mio tirocinio, l’avevo fatto proprio per la completezza, sotto diversi aspetti,
di quello che mi veniva proposto. Oggi posso confermare di aver fatto la scelta
giusta, una scelta che mi ha permesso di mettermi in gioco totalmente, di
provarmi e di formarmi.
Credo potrei andare
avanti all´infinito a raccontare, a scrivere, a spiegare, perché il MIO Brasile
è fatto anche di tanto altro, ma forse risulterebbe noioso e prolisso, quindi proverò
a concludere ringraziando le persone che hanno reso tutto questo così
incredibilmente VIVO.
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L'Equipe BEA 2016.1 con Veronica Urbani e Nicola Andrian |
Prima di tutto
grazie a Nicola che, dopo un lungo calvario, ha reso possibile, vero e
tangibile tutto questo.
Grazie a tutte le
persone conosciute qui che hanno contribuito a rendere questa città una casa e
senza le quali questa esperienza sarebbe stata diversa.
Un grazie in
particolare a Lucas che nella difficoltà di tanti momenti è riuscito a
riportare nella mia vita spensieratezza e leggerezza.
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Alla FUNASE CASE con il coordinatore pedogogico Ilson Borges |
Un grazie
all´equipe socio-psico-pedagogica del CASE, in particolare al coordinatore
pedagogico Ilson Borges, che non ha smesso un secondo di credere in me e nel
mio sogno e che con il suo "minha querida" mi ha sempre fatta sentire
accolta e parte della struttura.
Grazie a te,
Veronica, che sei stata una roccia sempre pronta a sostenermi. Il nostro
cammino qui non è stato sempre semplice, ma ricco di emozioni che lo hanno reso
incredibile. Ti ringrazio per le notti in bianco a parlare, per i pianti, per
gli abbracci, per le risate… e per aver saputo trovare le parole giuste quando
le mie emozioni erano così forti da non riuscire a parlare. A te che sei stata
e sarai un’insostituibile compagna di vita e di emozioni.
E infine grazie ai
miei ragazzi, qui senza nome e volto, ma nella mia mente e nel mio cuore
perfettamente vivi. Un grazie a loro, che hanno lasciato in me un segno
indelebile, grazie alle loro storie, alle loro sofferenze, ai loro sogni. A
loro che durante il nostro ultimo giorno insieme hanno asciugato le mie lacrime.
A loro che vengono etichettati come criminali, assassini, ladroni, drogati,
trafficanti. A loro che lo sanno, ma nonostante questo mi hanno permesso ogni
giorno di riuscire a vedere oltre, di entrare nei loro sguardi e di trovare delle
persone piene di cose da scoprire! A loro che ogni giorno ho salutato con un
sorriso, battendo in una mano e stringendone l’altra.
Grazie ai momenti
informali passati assieme, alle vostre voci, alla vostra musica, alle vostre
differenze, ai vostri cuori, alle vostre giornate buie e a quelle più chiare,
grazie alla vostra voglia di riscatto. Grazie per avermi resa partecipe della
vostra vita, delle vostre preoccupazioni e dei vostri sogni.
Mio papà, poche
settimane fa, mi ha ringraziata dicendomi che io gli ho insegnato che nella
vita tutto può succedere; io ho trovato queste parole travolgenti… non so se
sia vero che io l’ho insegnato a lui, ma so che questa magia l’ho scoperta con
voi ogni giorno, ed oggi è sicuramente un messaggio che sento mio: NELLA VITA
TUTTO PUO’ SUCCEDERE e, nella mia, è successo incredibilmente tutto questo.
Miriam
Miriam de Martin
Corso di laurea in Scienze
dell’Educazione e della Formazione, curriculum 'Educatore Sociale e
Animatore Culturale', Dipartimento FISPPA
Università degli Studi di Padova
Anno Accademico 2015/2016
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