Un progetto che si sviluppa principalmente nella regione metropolitana della città di Petrolina, nello Stato del Pernambuco in Brasile, attraverso una rete di collaborazioni con enti pubblici, privati e società civile a livello locale e internazionale.

“Dalla nostra esperienza, iniziata nel 2002, abbiamo la consapevolezza che l’incontro, il dialogo e la collaborazione alla pari costituiscono il Cuore di un approccio interculturale e di una relazione autentica. Sono fonte di grande ricchezza per il benessere degli esseri umani e della società e per una migliore presa in carico e risoluzione delle situazioni di bisogno che ogni comunità si trova ad affrontare.”

Nicola Andrian e Isabella Polloni - En.A.R.S.

martedì 29 dicembre 2015

Il mio bagaglio tra stimoli, competenze e colori - Tirocinio Universitario di Giulia Pivato, Report finale

‘Brasile’, una prospettiva a lungo termine, un viaggio che avrei programmato appena terminata l’università. Era da un po’ che me lo ripetevo.
Avevo iniziato a riempire la mia testa di immagini, fotografie di volti, luoghi, situazioni che non avevo visto né vissuto. Ornella, Adriano, Carlo, Sara, erano loro i più vicini a me che già avevano visto e vissuto parte del Brasile. Facevo tante domande, stavo attenta ai colori, agli odori, a tutti i dettagli che mi venivano descritti per rendere quelle riproduzioni in testa il più possibili fedeli e reali..eppure, l’unica cosa che capivo era che i racconti non mi bastavano.
Allora chiedevo loro di cercare di trovare parole più efficaci, provare ancora, ancora una volta…
C’era soprattutto quella parola curiosa ‘saudade’ … “una sensazione impossibile da far immaginare”, “solo chi l’ha vissuta in prima persona può capire”; “non è uguale alla ‘nostalgia’, non esiste una parola italiana per tradurla”… quante volte ho sentito queste frasi..
Voglio iniziare proprio da qui, iniziare a raccontare partendo da quello che sento addosso a me, dentro di me esattamente in questo momento. Credo di poter usare quella parola curiosa adesso..sì, credo proprio sia ‘saudade’ quella che sento.
 “è una mancanza che è anche pienezza”
Ricordo bene chi mi ha scritto queste parole, ricordo che ero distesa sull’amaca blu all’entrata della casa UNIVASF a Petrolina e ricordo che in quel momento ho pensato non si potessero trovare parole più azzeccate.
Scriverò allora di cos’è piena la mia “saudade”: visi, mani, sensazioni, incontri, competenze, condivisioni, tramonti, parole che stimolano, provocano, lasciano delle ‘tacche’, musica di strada, rocce rosse, cascate, contraddizioni e poi ancora di più..
Lo scriverò attraverso alcune macro-aree, delle parole chiave che mi aiuteranno a ripercorrere, a focalizzare l’attenzione e a ordinare le emozioni.
Iniziamo…

L’EQUIPE: Lucia, Isidora e Nicola, sono loro i miei compagni di squadra.
Da subito sono state messe le carte in tavola, abbiamo discusso e ci siamo confrontati più volte sul significato di lavorare in equipe e su cosa, per ognuno di noi, stava alla base dell’equilibrio di una squadra.  Equilibrio non inteso come staticità, ma come stabilità, resistenza. Le tematiche affrontate durante le ‘riunioni’di formazione  coordinate da Nicola, hanno portato non solo ad uno scambio di opinioni e pensieri, ma anche ad un conoscersi più a fondo (pregiudizio, dialogo interculturale, capacità di distinguere soggettivo da oggettivo..). Abbiamo iniziato a scoprirci poco per volta per le nostre affinità e per le nostre differenze. Noi quattro non ci siamo scelti, non ci siamo cercati ma, non per caso, ci siamo trovati vicini, quasi intrecciati.

L’APAE (l’associazione che accoglie i ‘ragazzi speciali’ nella quale ho svolto il mio progetto di tirocinio): quel cancelletto blu si poteva aprire anche dall’esterno, tiravo quella levetta cinque giorni a settimana eppure non mi sono mai abituata a quella sensazione nel ‘varcare la soglia’. Sì perché ogni volta che entravo lì dentro mi sentivo investita da una scarica di energia. Quell’energia speciale che proveniva dai ragazzi che pian piano ho imparato a chiamare per nome, dal loro entusiasmo per ogni nuova proposta, dalla loro spontaneità nel dimostrare rabbia o affetto, dal loro correrti incontro, dalle loro grida di gioia, dalle loro canzoni cantate al microfono, dalle loro ‘mosse di bacino’ nel ballare le canzoni più ritmate.
C’è Ricardo e il suo essere determinato a voler imparare la traduzione italiana di alcune parole, c’è Tom e la sua capacità di guadagnarsi un abbraccio dopo un dispetto, c’è Bianca e la sua voglia di farsi capire, di comunicare con gli occhi e i sorrisi, c’è Elias, il suo volersi sedere sulle mie gambe e il suo modo di guardarmi incuriosito..nella mia “saudade” ci sono loro e molti molti altri. Ogni giorno si facevano scoprire e conoscere per le loro caratteristiche e personalità. Ero continuamente in contatto con il loro ‘non avere filtri’, il loro lasciarsi andare ad una risata contagiosa o ad un pianto interminabile, ed è proprio questa loro peculiarità che li rendeva simili e allo stesso tempo unici nel loro genere.
Ero anch’io realmente in grado di farmi conoscere ‘senza filtri’ e al tempo stesso di conoscere ‘senza filtri’?

Il DECENTRAMENTO: Il trovarsi nella situazione di ‘straniera’ mi ha fatto riflettere molto sulla capacità di uscire dal mio mondo, dal mio modo di pensare, sulla capacità di ‘spostarmi da me’. Come equipe abbiamo lavorato molto sull'importanza di esprimersi omettendo qualsiasi giudizio; abbiamo prestato molta attenzione ad identificare le nostre interpretazioni e pareri, legati quindi alla nostra cultura ed esperienza, cercando di tenerli separati dalle descrizioni di ciò che vedevamo o ascoltavamo.

La COMUNICAZIONE e il DIALOGO: due parole fulcro di questa esperienza.
Innervosita, demoralizzata, confusa, condizioni che ricordo bene. Sensazioni iniziali collegate al non conoscere il portoghese, al dovermi preparare in anticipo le domande da fare, le perplessità da chiarire o semplicemente delle proposte che mi sarebbe piaciuto condividere.
E poi il lasciarsi trasportare fuori dalla dimensione della parola come mezzo privilegiato. Sentirsi stimolata continuamente a cercare diversi e sempre nuovi mezzi per comunicare, ritrovarsi ad imitare degli animali o a disegnare degli oggetti, a marcare le espressioni del viso e ad osservare tutto questo anche in chi mi stava attorno.
Ero partita da casa con l’idea di proporre un laboratorio creativo con il materiale riciclato all’interno dell’APAE, ma effettivamente era un laboratorio basato su ipotesi, idee di ciò che avrei potuto trovare. Non conoscevo i ragazzi con i quali avrei collaborato, né il materiale che avrei avuto a disposizione, né i laboratori, gli argomenti già affrontati i mesi precedenti eppure giorno dopo giorno ho visto i pezzi del puzzle incastrarsi tra di loro. Questo sicuramente grazie alle occasioni di dialogo, scambio, riflessione e condivisione con operatori, educatori e professori del mio ente.









La CONDIVISIONE dei miei obiettivi personali all’inizio del percorso è stata di fondamentale importanza. Solo così ho potuto dirigere la mia attenzione ad obiettivi concreti e stabiliti tenendo in considerazione le necessità ed aspirazioni tanto mie quanto dell’Ente che mi ha accolta. Indispensabile è stato il sentire che potevo chiedere, fare domande, esprimere dubbi in qualsiasi momento, nelle riunioni d’equipe ogni venerdì, ma anche in quei ‘momenti liberi’, brevi, non formali ma preziosi.

Obiettivi formativi:
(SAPERE)
  • avere una visione più completa e congruente della struttura nella quale presterò servizio (in termini di organizzazione interna) e del ruolo che rivestirò all’interno della essa, ma anche dell’ambito di associazioni e del contesto in cui è inserita
  • conoscere e condividere usi, costumi, tradizioni e tutto ciò che incontrerò di diverso da me a livello culturale, legislativo, religioso che caratterizza l’etnia propria delle persone con cui sarò a contatto
(SAPER FARE)
  • individuare le caratteristiche principali delle modalità di intervento svolte all’interno della struttura APAE e la specificità di ognuna di esse correlata alla problematica cui è correlata
  • imparare a capire/ interpretare le particolarità dei gruppi e dei singoli con i quali collaborerò e interagirò
  • condividere con l’equipe locale obiettivi e pianificazione di attività e proporre un laboratorio nuovo, magari vicino alle mie esperienze ed attitudini
  • avere una panoramica chiara e dettagliata di ciò che sperimento ed approfondisco, con la consapevolezza di poterlo sfruttare poi, in modo efficace e veloce
(SAPER ESSERE)

  • mantenere e potenziare un atteggiamento di apertura e curiosità verso le diversità che incontrerò giornalmente, nonché uno spirito propositivo e teso a mettere in gioco le mie caratteristiche personali
Equipe APAE
Durante i tre mesi di esperienza, all'interno dell'APAE ho proposto e sviluppato:
  • un laboratorio creativo  attraverso l’uso di svariati materiali di riciclo (bottiglie e bicchieri di plastica, scatole di cartone, contenitori in tetrapak..) e svariate tecniche (collage, assemblaggio, creazione di nuovi oggetti, pittura..). Realizzato in 8 differenti classi;
  • laboratori giornalieri differenziati con ogni classe: costruzione di diversi animali (tartarughe, pipistrelli, farfalle, ragni, serpenti), barchette, case, autobus, automobili e fiori - Realizzazione  di ambienti naturali in miniatura (foresta e lago) su cui abbiamo incollato diversi animali realizzati con i tappi delle bottiglie - Sviluppo del tema dell’acqua come risorsa naturale. Approfondimento delle proprietà dell’acqua, i passaggi di stato e il ciclo dell’acqua nel pianeta - Sviluppo del tema della dimora dell’uomo partendo dalla favola de ‘i tre porcellini’ e realizzando infine delle casette con diversi materiali, forme e colori - Sviluppo del tema dell’habitat naturale delle specie animali partendo dalla favola di ‘Bambi’ e realizzando un’attività che prevedeva di collocare nel proprio ambiente le figurine di ogni animale.

Ho partecipato ad un progetto realizzato  dalla logopedista e dalla terapeuta occupazionale della struttura in tre diverse classi di APAE finalizzato alla scoperta, l’uso e il potenziamento della percezione sensoriale:
  • tatto di piedi e mani attraverso percorsi sensoriali con diversi materiali da riconoscere
  • udito attraverso l’utilizzo di strumenti musicali e di toni e timbri di voce differenti
  • vista attraverso la visualizzazione di luci e ombre e un laboratorio incentrato sui colori
  • olfatto e gusto attraverso  l’utilizzo di diversi cibi più o meno noti da indovinare attraverso il loro odore e sapore
FLESSIBILITÁ: una delle parole che fin da subito mi sono posta come metodo, o forse come obiettivo.
Essere flessibili all’interno della propria comodità, della propria ‘comfort zone’ dove le strade secondarie da percorrere per affrontare gli imprevisti sono molte volte già testate come sicure ed efficaci, è ‘leggermente’ differente dalla flessibilità che intendevo raggiungere.  Una flessibilità che era riprogrammazione ma allo stesso tempo anche creazione di quelle strade secondarie. Sentivo che il contesto nel quale mi stavo inserendo mi richiedeva di stare continuamente con le antenne alzate e i talloni sollevati da terra, pronta per essere reattiva, come nella posizione di ricezione a pallavolo. Pronta all’imprevisto, al cambiamento di qualcosa, come quando una battuta flottante cambia direzione all’ultimo secondo. Capitava di dover modificare un laboratorio o una lezione in base al numero degli alunni, al materiale che si pensava di trovare e invece mancava. Capitava di ritrovarsi ad appuntamenti programmati e poi posticipati o addirittura cancellati senza preavviso.
Avremmo potuto tralasciare qualcosa, saltare qualche programma. Certo, avremmo potuto, ma abbiamo scelto di non farlo. Sapevamo di avere tre mesi, sapevamo ci fosse una ‘scadenza’, sapevamo che il tempo era da investire nel modo migliore per accogliere più opportunità possibili. Sapevamo inoltre che avevamo delle responsabilità come equipe e come singoli. Il portare a termine attività e progetti non era solo qualcosa che avrebbe gratificato e appagato noi stessi, era anche importante per chi sarebbe stato al nostro posto dopo di noi, o per chi era davanti a noi in quel momento.
Sicuramente i due contesti che mi hanno richiesto di incrementare la flessibilità del mio bagaglio iniziale sono stati l’APAE nella progettazione del mio laboratorio personale e la UPE (Università del Pernambuco) a Petrolina.
Qui ho avuto l’opportunità di mettermi alla prova nel ruolo di ‘professoressa’ di un corso base di lingua e cultura italiana. Professoressa lo ero di fatto senza le virgolette, eppure voglio scriverlo così, non per sminuirne l’importanza, ma solo per renderlo più curioso e meno comune, con qualcosa da scoprire. Questo scoprire non è solo per voi che state leggendo, ma lo è stato e lo è tuttora anche per me.
Ancora prima di iniziare, quando Nicola ci ha parlato in modo più dettagliato di questo corso, quando la sola immagine di me davanti ad una classe di alunni mi faceva sorridere, già allora mi sentivo attirata e stimolata da questo nuovo territorio. Ho sempre pensato che l’essere professoressa non mi appartenesse. Non avrei voluto insegnare la didattica, le materie scolastiche in modo scolastico, non mi sarebbe piaciuto sedermi dietro ad una cattedra, seguire un libro che mi indicasse cosa spiegare e farmi dare del ‘lei’. Ecco, non c’è stato nulla di tutto ciò durante queste lezioni. Per gli studenti della mia classe io ero ‘a professora Giulia’, c’era il mio nome accanto a quel ruolo, c’era il mio modo di essere professoressa. Nonostante l’inesperienza in questo campo mi sono quasi stupita di essermi trovata da subito a mio agio nel prendere iniziative che potessero attirare l’attenzione e stimolare l’apprendimento di una nuova lingua.
Lezione e serata finale del corso di Lingua e Cultura italiana alla Università del Pernambuco
Ho approfittato e approfondito la CAPACITÁ DI IMMEDESIMARSI che già sentivo di possedere. Cercavo di capire le abitudini del gruppo di studenti durante le lezioni. Provavo attraverso delle semplici domande a percepire come sarebbe piaciuto che impostassi le due ore a settimana che passavamo assieme.
Mi sono chiesta più volte “Giulia, come ti piacerebbe imparare una nuova lingua?”. Attraverso le mie e le loro risposte e grazie ai consigli di Nicola che già da parecchio tempo ha a che fare con questi corsi di Italiano nelle due università, mi sono addentrata in questa avventura. La chiave che ho trovato? Il variare metodologie di approccio e comunicazione, l’alternare momenti di spiegazione specifica inerente all’argomento grammaticale a momenti più coinvolgenti anche proprio dal punto di vista fisico (il balletto di una filastrocca per i giorni della settimana o l’alzarsi in piedi per cantare una canzone italiana).
L’ascoltare le loro proposte e l’essere autoironica credo mi abbiano poi aiutato molto nel cercare di farli sentire miei complici, più che miei studenti. E, alla fine del corso, quella frase: “Giulia, você era uma professora um pouco estranha”. Sì, ho capito in quel momento di essere stata la ‘professoressa’ con le virgolette di cui ho parlato.

ASCOLTARE: è spesso un verbo che pensiamo in relazione a ciò che è diverso da noi, a ciò che sta fuori, all’esterno. “l’essere aperti e disponibili ad accogliere esperienze altrui, cogliere e rispettare i tempi dell’altro” è questa la definizione che ne avevo dato all’inizio di questi tre mesi. Concordo ancora con tutto ciò che avevo scritto eppure..c’è una dimensione dell’ascoltare che ho curato qui in modo particolare. L’ascoltarsi.
 In un’esperienza formativa come questa ci si trova immersi in un mare di novità, curiosità, occasioni extra-ordinarie da cogliere al volo, moltissime persone da scoprire ogni giorno. C’è una linea sottile tra l’essere immersi e l’essere sommersi. Per me questa linea sottile era formata dai momenti che riuscivo a trovare per me durante la giornata e dai momenti che io, Lucia, Isidora e Nicola riservavamo per noi. È stato davvero fondamentale per me trovare del tempo per ascoltarmi, ascoltare le mie sensazioni, le mie paure, le capacità che sentivo di mettere in gioco e quelle su cui dovevo ancora lavorare molto. Quel tempo che ci dedicavamo aiutava a ‘sedimentare’, a cercare delle parole, a chiamare per nome ciò che sentivamo, a non lasciar andare, a non lasciarci sommergere.

La ‘saudade’ che sento contiene tutto questo..e poi di più.

E adesso? Ora che sono tornata a casa, ora che sono passati questi tre mesi?
L’atterraggio in Italia più che un ritorno l’ho sentito come una partenza. C’è ancora tantissimo lavoro da fare su di me a livello professionale e personale. C’è ancora così tanta strada. Allora allaccio bene le scarpe e metto in spalla il mio zaino. Non ho dimenticato nulla, ma lo sento così leggero perché la pienezza di cui ho parlato, la pienezza che il ‘Brasile’ mi ha regalato, non è una pienezza che appesantisce, ma che stimola la mente e arricchisce il cuore.

Giulia

1 commento:

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